Arriva la Befana
È il giorno in cui i Magi, i Sapienti, che guidati dalla stella, sono venuti dall’Oriente a rendere omaggio ed a portar doni a Gesù bambino che oggi si manifesta.
Ed è pure la festa profana della Befana, la “vecia” che porta i doni ai bambini buoni e obbedienti e i carboni a quelli che non lo sono. Quando io ero bambino, la mia Befana non era quella brutta e arcigna, che a cavallo della scopa, volava di casa in casa a portare i carboni della sua sacca. No!! La mia Befana era come una bella fata senza età, come la grande mamma di tutti i bimbi, che porta in dono solo cose buone.
Ero ingenuo e poco più che infante, quando i miei genitori mi dissero che bisognava aiutare la Befana nel suo duro lavoro, e dare ospitalità al suo somarello tanto stanco, io ci credevo fermamente nella Befana, e ci ho creduto per molti anni sino alla pubertà. Oh com’era bello crederci anche se anch’io sapevo che quella che tutti chiamavano Befana erano i nostri genitori, oh come mi piaceva credere, oh come mi piacerebbe ancora credere nella Befana, ora che da vecchio sono ridiventato bambino.
Avevo meno di sei anni, ed era la sera precedente l’Epifania, io ero certo che come i Magi sarebbero arrivati a portar i doni a Gesù Bambino, anche la Befana con il suo somarello, stracarico di doni, sarebbero arrivati da chissà-dove dopo aver tanto e tanto camminato. Il somarello sarebbe sicuramente arrivato stanco e affamato, ed è per questo che io, come mi aveva insegnato mio padre, e come ho sempre fatto prima e come farò dopo, ho lasciato semi-aperto il portone del cortile, procurato una bracciata di fieno, una bacinella piena d’acqua e tanta paglia per farne una lettiera, cosicché il somarello avrebbe mangiato, bevuto e riposato mentre la sua padrona, la Befana, portava i suoi don ai bambini di tutto il paese.
Si, la Befana è arrivata!! Me lo confermerà mio padre che a notte alta è andato a controllare. Il fieno non c’era più, dell’acqua un sorso, la paglia stropicciata e, a maggior conferma, alcuni stronzetti profumati del somarello che ha mangiato e digerito.
Io ero sicuro che la Befana sarebbe arrivata, ma sapevo anche che essa era povera come tutti erano ancora poveri in quel tempo. Povero era l’oltre Po Ferrarese e misero era il resto del Polesine. Anche a Bergantino, benché fosse il paese meno povero, non vi era da scialare. Solo da poco era guarito dalle ferite infierite dalla Grande Guerra, dalla Spagnolo ed Encefalite, ed ora dall’infierire di Tifo, Tubercolosi tante malattie. Molti genitori non hanno potuto dunque accordarsi con la Befana la quale ha dovuto caricare il somarello di calze vuote.
Non così per me. Io avevo sentito mamma e papà confabulare fra di loro per accordarsi con la Befana per cui la mia calza me lo avrebbe portata piena, ma non in camera, ma nella stanza dei miei genitori. Per tutta la notte ho dormito con un occhio solo, ansioso che arrivasse l’alba per sgattaiolare fino alla grande stanza, ma non ho visto calza. Mi sono impensierito ma, come mi hanno insegnato i miei genitori, di fronte a qualsiasi evenienza, non ho perso la calma.
La luce dell’aurora ha cominciato a baluginare ed io ho visto. La calza era la in alto, appesa alla pertica dei salami. Mi ci feci sotto e cominciai a spiccare salti, io ero scarno e magrolino, ma ero un condensato di energia, ed i miei salti erano sempre più alti ma mai a sufficienza per abbrancare l’agognata calza. È arrivato l’affanno, ho smesso di saltare, e mentre ansavo ho visto la calza scendere lentamente. Ho atteso che fosse a portata di salto, mi sono gonfiato il petto e via, ma mentre io ho spiccato il volo, la calza è salita, quindi essa è ridiscesa ed io ho rispiccato. Il giochetto si è ripetuto una, due, tre e più volte fin quando mamma e papa si sono abbastanza divertiti e la calza è scesa fino davanti a me. Con il mio trofeo, con il fiato grosso e pieno di gioia sono salito sul lettone fino ai miei genitori, che felici, mi hanno accolto fra di loro.
Ancora ansimante, fra mamma e papà, con la calza piena ben stretta al petto, aspettavo che l’uno o l’altra mi dicesse che potevo aprirla. Intanto la mamma mi diceva: io e papà ti abbiamo guardato mentre, con tutta la tua energia e volontà, saltavi per arrivare alla tua calza. Ti abbiamo guardato quando, caparbio, hai continuato a saltare anche quando hai capito che non potevi arrivarci. Tu, bambino, non sei cucciolo solo di mamma e papà ma sei cucciolo anche dei tuoi fratelli che ti ricoprono di coccole, ed è per questo che tu credi che possa ottenere, con la forza, quello che ti spetta. No, bambino, tu devi imparare a conoscere i tuoi limiti, ad usare l’energia per i giusti scopi e la mente al posto della forza.
A sermoncello finito, papà, ansioso quanto me, mi ha fatto cenno di aprire la calza, ma la mamma, intervenuta, ci ha fatto sedere con le gambe sotto le coperte, anche papà è stato al gioco, si è seduto. La mamma ha porso il norge a papà, mi ha fatto indossare la maglia di lana rossa da lei fatta per il regalo di Natale, si è messa lo scialle nero sulle spalle e, preso il togliere, lo ha posto sulle coperte innanzi a me, mi ha guardato e con gran sorriso ha detto: apri!!
Tutte queste cose, la mamma aveva preparato per fare in modo che questa mia Befana fosse per me, una cerimonia, un rito. Intanto che io toglievo i legacci alla calza, lei mi diceva: tu bambino sei nato nel giusto tempo, quando noi…(un mio grido di gioia l’ha interrotta) …una bilancina di ottone lucido, con tutti i suoi pesini, era uscita dalla calza, che bellezza, una cosa mai vista, chissà dove la Befana ha trovato questa bella bilancina?? Forse in quello stesso lontano paese dove papà, ogni mese, va comprare le sue cose.
La mamma riprese a dire: quando noi genitori siamo stati capaci di dire alla Befana di portarti la calza piena, ricordati che per tanti altri bambini come te, la calza è rimasta vuota. Anche ai tuoi fratelli, la Befana…No!! S’interruppe, Non così, le cose che togli dalla calza, le devi mettere sul tagliere, allineate e distinte per genere ed importanza, tu sai che a papà piace l’ordine e la precisione, ti dicevo che ai tuoi fratelli, la Befana non ha mai portato doni, erano tempi duri, la povertà era grande, la guerra e le malattie ci tormentavano e la Befana era misera.
Per te, bambino, ha continuato la mamma, questa Befana è ancora povera, essa, in avvenire sarà sempre più ricca, ma questa resterà la più bella e sarà quella che ricorderai per tutta la vita e che, quando sarai grande, racconterai ai tuoi figli e nipoti. Il papà, estasiato, continuava a guardarmi, e per la prima volta, mi ha dato un bacio.
Molte cose le avevo già tolte dalla calza e ben disposte sul tagliere ma in fondo, separate, ne rimanevano altre. La mamma, accortasi della mia titubanza, ha detto: le cose rimaste nella calza… la Befana le ha messe per i tuoi compagni, domani, quando vai a scuola, ti dirà come devi fare. Papà ascoltava, mi guardava e annuiva, mentre io riordinavo le mie cose.
Sopra, davanti, la bilancina in ottone con i suoi pesini, sotto, il liea, due caramelle, una rossa e l’altra verde, più sotto, allineati, due mandarini e sei noci, quindi, sempre in linea, sei prugne e quattro fichi secchi, più sotto, biscotti uguali a quelli che sa fare mia sorella e dieci bagigge sparpagliate, infine, davanti a me, sei cubetti di colore giallo-oro-lucido, sulle cui sei facce, vi erano impronte rosse e verdi.
Quanto sono belli quei cubetti e, certo, sono squisiti: chissà dove la Befana li ha trovati? Forse da uno specialista di dolciumi con la testa quadra, papà mi guardava ed io con un cenno ho chiesto e lui: SI! Mangiane uno!, Ma la mamma riprese a dirmi: Papà ti fatto frequentare la scuola un anno prima del tuo tempo perché tu conosca la disciplina, perché tu faccia amicizia con i tuoi compagni di classe e con loro giocare. Io ti dico che loro sono più grandi di te e che tu devi essere rispettoso con loro senza nessuna distinzione. Non vantarti se tu hai le scarpe e loro gli zoccoli, se il tuo vestito è lindo ed il loro rattoppato, se la mamma ti ha lavato e pulito faccia, orecchie e mani, qualcuno di loro, la mamma, non ce l’hanno più. Alla Maestra devi rispetto e obbedienza, ella è l’autorità e rappresenta le istituzioni.
Disciplina, rispetto, obbedienza, autorità e istituzioni, ho detto io in tono di domanda? Papà ti spiegherà il loro significato, disse la mamma, e mentre papà cominciava… la disciplina è l’insieme di regole.., io, che più volte avevo ingoiato l’acquolina, presi un cubetto e lo misi in bocca.
Subito, il sapore dolce delle impronte, dopo un sapere diverso che non mi era nuovo, assaporai ancora e dissi: è polenta! Papà scoppio in una gioiosa risata, io, in quel momento ho capito e, ricordando ciò che la mamma mi aveva detto per gli scherzi intelligenti, invece di sputarlo l’ho ingoiato intero. Poi, guardando papà, diventato paonazzo, uno per volta, me li sono mangiati tutti.
Papa mi ha abbracciato e baciato ed e riuscì a dire: di te, bambino, ne farò un uomo!